Partire da sé. La parola agli uomini
febbraio 12, 2013 § Lascia un commento
celeste grossi
Perché in Italia ogni tre giorni una donna viene uccisa da un fidanzato, un marito, un compagno o ex compagno, magari padre di figli cresciuti insieme? Perché donne adulte e libere rifiutano di denunciare i propri partner violenti e continuano a rimanergli accento? Nel 2012 in Italia più di 120 donne sono morte ammazzate dai propri partner. Ma un’ampia parte di opinione pubblica rifiuta di considerare questi omicidi come uno specifico segnale di un problema di relazione tra i generi, originato da una diffusa cultura misogina e maschilista. Se ne parla poco e male sui media, ma anche a scuola.
Il fenomeno è in crescita, ma «ciò che è ordinario, come la violenza domestica, non fa notizia» afferma Elisa Giorni, ricercatrice in sociologia della comunicazione all’Università di Siena, che con Fabrizio Tonello, da anni analizza le rappresentazioni della violenza maschile sulle donne nei media. Dalla ricerca emerge una tendenza da parte dei giornalisti a deresponsabilizzare l’uomo e il ricorso frequente alla “retorica dell’amore”.
Da alcuni anni tenacemente accanto a voci stereotipate si sentono anche voci maschili che cercano di sottrarsi alla gabbia culturale e sociale che sta strettissima alle donne, ma anche agli uomini. «Alcune lodevoli campagne di sensibilizzazione, qualcuna rivolta anche alle scuole, sono state prodotte e rese disponibili in internet, e i gruppi di uomini italiani sensibili ai temi della violenza contro le donne, come “Uomini in cammino” (quest’ultimo molto interessante e peculiare luogo che riunisce uomini credenti, che lavorano anche sul tratto sessista della religione dominante nel paese), “Maschile plurale”, “Uomini casalinghi” e “Il cerchio degli uomini”, sono riusciti a emergere, talvolta anche mediaticamente, e hanno dato vita a momenti pubblici di dibattito e confronto sul difficile tema della consapevolizzazione maschile. Il termine è assai ostico, ma tradotto significa che, anche se ancora non a livello massivo, c’è un inizio importante di presa di coscienza maschile su temi considerati da sempre appannaggio femminile: la sessualità, la complicità maschile sulla violenza di genere, il paterno, l’omosessualità, gli attacchi alle libertà e ai diritti delle donne conquistati dal femminismo e più in generale la svolta maschilista della cultura italiana degli ultimi vent’anni. Purtroppo la cultura dominante di riferimento è potente, e in Italia resta maggioritaria una educazione sessista e fortemente orientata alla segregazione per genere, che passa anche attraverso i media». Così scrive Monica Lanfranco nell’introduzione al suo libro Uomini che (odiano) amano le donne. Virilità, sesso, violenza: la parola ai maschi, appena edito da Marea (euro 14).
«Per una volta, invece che parole di donne sulla sessualità e la violenza, si è chiesto agli uomini di esporsi, di mettersi in relazione, di soffermarsi a pensare su di loro, il loro corpo, il loro desiderio, i lati oscuri del loro genere». Lanfranco dal suo blog sul Fatto quotidiano ha lanciato sei domande − “Che cosa è per te la sessualità?”; “Pensi che la violenza sia una componente della sessualità maschile più che di quella femminile?”; “Cosa provi quando leggi di uomini che violentano le donne?”; “Ti senti coinvolto, e come, quando si parla di calo del desiderio?”; “Essere virile: che significa?”; “La pornografia influisce, e come, sulla tua sessualità?” −, chiedendo agli uomini di rispondere alla sua email. «Ho provato a fare delle domande che offrissero la possibilità, a chi voleva, di accedere ad un piano meno superficiale e più intimo rispetto ad un sondaggio tradizionale: hai voglia di parlare con me, scrivendo alla mia mail personale (non in una chat o in un form, o attraverso il sito di un giornale) di te come uomo in relazione alla sessualità? Sono rimasta sorpresa anche io delle tante risposte che sono arrivate, e la sorpresa ha riguardato sia la loro forma come la loro sostanza».
Il libro è il risultato del lavoro di raccolta e sistemazione delle oltre 200 risposte arrivate, ma è assai di più: «è la testimonianza dell’esistenza di voci di uomini connotate da curiosità, voglia di capire e comunicare. L’intento del testo è di restituire questa interlocuzione, e di offrire a chi legge parole e riflessioni maschili su virilità, sesso, violenza, pornografia, desiderio».
«Obiettivo di questa raccolta è quello (anche) di suscitare emozioni, oltre che dibattito e dare voce ad un altra parte maschile, diversa rispetto a quella tragicamente presente nella cronaca nera o nella ordinaria violenta e ottusa rappresentazione televisiva dei maschi mediatici».
Il libro presenta prima le risposte più brevi, di una o due righe, poi quelle lunghe. A corredo tre interventi di attivisti delle reti di uomini italiani: Francesco Pivetta, insegnante e terapeuta; Mario Fatibene del Cerchio degli uomini e Beppe Pavan, di Uomini in cammino. Nell’ultima sezione indicazioni biblio/film/web per orientarsi in Italia e nel mondo su questi temi.
Ai siti http://www.monicalanfranco.it; http://www.mareaonline.it; http://www.radiodelledonne.org sono aperti alcuni capitoli del testo
Il libro, supplemento al N. 1 2013 di Marea, trimestrale di attualità e riflessioni, storie e racconti, critica e informazione per dire lo stare al mondo delle donne, può essere richiesto a monica.lanfranco@gmail.com.
Uomini che scelgono di interloquire
monica manfranco
Anteo e Cielo, questo libro è per voi
Tutto comincia con un viaggio in treno, nel quale un articolo di Internazionale mi colpisce: la collega inglese Laurie Penny, (collaboratrice del Guardian), attenta al mondo delle donne spesso con interventi di taglio femminista, ha stilato alcune domande rivolte agli uomini sulla loro sessualità, chiedendo ai suoi contatti maschili, in forma anonima, se avessero avuto voglia di rispondere. Attenzione: nulla a che fare né con un sondaggio a carattere scientifico, ma nemmeno una delle “piccanti” iniziative da rotocalco del tipo “come lo fanno gli uomini”. Penny ha chiesto agli uomini quello che fin da piccola avrebbe voluto domandare agli altri bambini, poi ai ragazzi e infine agli adulti che via via ha incontrato nella sua vita: di parlare di sé, del come si sentissero nel loro corpo, del cosa pensassero degli uomini che violentano le donne, del quanto, e come, la pornografia influisse sulla loro vita e sulla loro sessualità. “La prima regola sulla virilità è che non se ne deve parlare, né farsi delle domande. Mi piacerebbe sentire un uomo dire cosa significa essere uomo. E credo di non essere l’unica”, scrive. Laurie Penny ammette nell’articolo che si aspettava qualche decina di risposte, dopo aver lanciato la proposta, visto che lo stereotipo vuole che a parlare di sessualità in questo modo intimo e autocoscienziale siano solo le donne. Invece, sorpresa: è stata travolta dalle risposte di eterosessuali, gay, padri, figli, mariti, fratelli. Tanti, desiderosi di parlare non banalmente di sessualità, corpo, violenza. Quello che da anni alcune femministe, tra le quali io stessa, in Italia andiamo dicendo, cioè che è tempo, è urgente, che la voce maschile si faccia sentire, è accaduto: alla chiamata di una giornalista femminista, in forma non organizzata e spontanea, c’è stata una reazione positiva. Di fronte a questa esperienza, pur consapevole che il mondo anglosassone non è l’Italia, ho pensato che poteva essere un buon inizio. E ho provato. Il libro che avete tra le mani nasce da questa speranza e fiducia: che anche qui da noi alcuni uomini abbiano voglia di comunicazione, di dialogo, di mettersi in gioco su questo tema, che poi è, in parte, una richiesta di ragionare sul loro corpo. Parole e riflessioni maschili autentiche sono preziose e necessarie anche e soprattutto a fronte della drammatica escalation del fenomeno del femminicidio, ovvero della uccisione di donne non da parte di sconosciuti, ma per mano di uomini che conoscono le donne che poi diventano vittime della loro furia: spesso ex fidanzati, partner, amanti, mariti, talvolta fratelli e padri.
Nel 2012 oltre 120 donne sono morte in questo modo in Italia, e non basta: una fetta ancora troppo ampia di opinione pubblica rifiuta di considerare questi omicidi come uno specifico segnale di un problema di relazione tra i generi, originato da una diffusa cultura misogina e maschilista. Cosa racconta il silenzio degli uomini?
Nel mio percorso di femminista, giornalista e formatrice mi sono spesso interrogata, in questi anni, sul silenzio maschile, anche e soprattutto degli uomini che abbiamo considerato, nel corso del tempo, compagni di strada, con i quali abbiamo condiviso e condividiamo pezzi importanti di tempo e di vita nella politica, nei movimenti, nel sindacato, nell’associazionismo, oltre agli eventuali compagni, mariti e amanti, e poi figli adulti. Un silenzio consistente, se consideriamo che su quasi tutto il resto dello scibile gli intellettuali e gli attivisti si esprimono: dall’ambiente al clima, dall’economia alla politica, per non parlare degli esperti di cucina che sono tra i massimi guru mediatici, è tutto un commento: ma è della sessualità, della relazione con il loro corpo, della responsabilità di avere ‘quel’ corpo e non un altro che gli uomini non parlano. Del corpo che può violentare.
Non alludo, ovviamente, alle chiacchiere da bar, che invece abbondano come cemento dell’amicizia virile dalle quali trae ispirazione senza fine il cabaret, ma di un riflettere senza accenti goliardici o volgari.
Del partire da sé, insomma, che alle donne del femminismo ha fruttato un salto di qualità anche rispetto al godimento del proprio corpo e ad una maggiore consapevolezza dei limiti e delle possibilità nella relazione con l’altro da sé.
Forse abbiamo omesso, noi femministe, di rimarcare i vantaggi del faticoso ma proficuo percorso che ha avuto come esito il trovare quelle parole per dirsi: forse dovremmo raccontare di più ai nostri figli, amanti, fratelli, mariti e compagni quanto bene faccia sapere del proprio corpo, di sé.
Quanta autorevolezza produca questa consapevolezza, e quanto diversa sia dal potere (non il potere inteso come verbo ausiliario, ma come dominio, sopraffazione, violenza).
Ho anche sempre pensato che fosse importante, per coerenza e onestà intellettuale, che prima ancora di puntare lo sguardo e il dito sugli uomini estranei fosse necessario guardare dentro casa e capire come, e se, il fragile crinale tra personale e politico incarnato in queste relazioni ci corrispon-desse, e se, e come, le presenze maschili nelle nostre vite fossero realmente diverse e migliori delle macerie (simboliche e concrete) che ci circondano. Se davvero gli uomini nelle nostre vite valorizzino e valutino importanti, assieme a noi, le scomode scelte che come femministe e donne impegnate contro il sessismo abbiamo fatto, nel quotidiano privato come nella sfera politica.
[Dalla Introduzione di Uomini che (odiano) amano le donne. Virilità, sesso, violenza: la parola ai maschi].
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